La produzione di petrolio dell’Arabia Saudita viene temporaneamente ridotta a metà dopo gli attacchi alle raffinerie di Saudi Aramco. La distruzione provocata dagli incendi di sabato 14 settembre ha portato a una “sospensione temporanea della produzione” nei due siti interessati, Abqaiq e Khurais, che rappresentano circa il 50% della produzione totale di Aramco. Le due strutture producono normalmente 5,7 mbl /g, circa il 5% della produzione giornaliera di greggio al mondo.
Il ministero dell’Energia dell’Arabia Saudita ha annunciato che parte della riduzione sarà compensata per i suoi clienti attraverso le scorte.
Secondo il ministero dell’energia, gli attacchi hanno anche portato alla cessazione della produzione di 56,5 miliardi di metri cubi al giorno utilizzati per produrre 700 kbl di NGL, il che ridurrà la fornitura di etano e NGL fino a circa 50%. Gli attacchi non hanno avuto alcun impatto sulla fornitura interna di elettricità e acqua da combustibili fossili o sulla fornitura di combustibile fossile al mercato locale.
Nel 2018, l’Arabia Saudita è stata il secondo produttore mondiale di greggio (4.550 mbl) e il più grande paese di esportazione di greggio al mondo, con 3.750 mbl
Dopo gli attacchi alle due raffinerie e l’annuncio di Trump sull’uso delle riserve petrolifere strategiche americane, il prezzo del petrolio schizza alle stelle: domenica sera i futures Usa sul greggio sono saliti del 15%, quelli sulla benzina dell’11% e il Brent del 18%. Lunedì mattina rialzi anche sui mercati asiatici: il Brent sale del 10,7% a 66,66 dollari e il Wti del 9,6% a 60,1 dollari.
Il Brent ha toccato i massimi dalla guerra del Golfo del 1991, e il future sul Brent sale di oltre il 10% a 66,55 dollari al barile, dopo aver guadagnato fino al 19,5% a 71,75 dollari, sui livelli di gennaio 1991. Il future sul Wti balza in avanti del 9,25% a 59,86 dollari al barile, dopo aver segnato un +15,5%, il suo maggior aumento giornaliero dal 22 giugno 1998.