Venerdì 13 ottobre i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 4% dopo che gli Stati Uniti hanno inasprito le sanzioni contro le esportazioni di greggio russo, esacerbando le preoccupazioni sull’offerta in un mercato energetico già in equilibrio precario.
I futures del greggio Brent di riferimento internazionale con scadenza a dicembre sono stati scambiati in rialzo del 4,5% a 89,9 dollari al barile, mentre i futures del greggio statunitense West Texas Intermediate con inizio mese di novembre sono saliti del 4,7% a 86,83 dollari al barile.
Il ritorno verso i 90 dollari al barile arriva dopo che giovedì gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a due compagnie di navigazione che trasportavano petrolio russo a un prezzo superiore al limite, violando il tetto del prezzo del petrolio fissato del G7, un meccanismo progettato ridurre i profitti petroliferi del governo russo e limitare la macchina da guerra russa.
Il 5 dicembre dello scorso anno il G7, l’Australia e l’Unione Europea hanno imposto un tetto massimo al prezzo del petrolio russo di 60 dollari al barile. Ciò si è accompagnato dalla decisione dell’UE e del Regno Unito di imporre un divieto sulle importazioni di petrolio greggio russo via mare. All’epoca si pensava che le misure fossero un passo significativo per ridurre le entrate delle esportazioni di combustibili fossili che stanno finanziando la guerra della Russia in Ucraina.
Secondo le fonti la petroliera YasaGolden Bosphorus, di proprietà della Ice Pearl Navigation Corp, con sede in Turchia, risulta abbia trasportato petrolio greggio russo con un prezzo superiore a 80 dollari al barile e la SCF Primorye, di proprietà della Lumber Marine SA con sede negli Emirati Arabi Uniti, a un prezzo superiore a 75 dollari al barile dopo l’entrata in vigore del meccanismo del limite di prezzo.
Gli operatori di mercato stanno inoltre monitorando da vicino le ricadute dell’escalation del conflitto tra Israele e Hamas, che ha aumentato le preoccupazioni che i combattimenti possano influenzare la produzione energetica regionale. Il Medio Oriente rappresenta oltre un terzo del commercio marittimo globale.
Giovedì l’Agenzia internazionale per l’energia ha descritto le condizioni del mercato come “piene di incertezza”, ma ha affermato che la guerra tra Israele e Hamas non ha ancora avuto un impatto diretto sull’offerta fisica.
L’IEA ha cercato di placare le preoccupazioni del mercato affermando di essere pronta ad agire per garantire che i mercati rimangano “adeguatamente riforniti” in caso di improvvisa carenza di offerta.
La risposta dell’Agenzia per l’energia prevede che i paesi membri rilascino le scorte di emergenza e/o implementino misure di contenimento della domanda. Israele non è un grande produttore di petrolio e nessuna grande infrastruttura petrolifera corre vicino alla Striscia di Gaza.